I falsi amici
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SINONIMI E SIGNIFICATI
Uno degli scogli più frequenti (e spesso più divertenti) quando si impara una lingua straniera è rappresentato dai cosiddetti falsi amici. Dagli amici mi guardi il cielo che dai falsi amici mi guardo io… (no, non era proprio così, ma ci stava bene.)
Se si considerano poi due lingue dalle strutture sintattiche e grammaticali affini, come francese e italiano, entrambe d’origine latina, i falsi amici pullulano. Ricordo un vecchio film dei Vanzina, l’unico che mi sia mai lasciata convincere a vedere al cinema (a mia discolpa, scappai dalla sala ben prima della fine del film) in cui un’italiana ricca e tamarra, ospite d’un lussuoso albergo della Costa Azzurra rispondeva fiera alla cameriera che bussava alla porta “Apré”, pensando di dire “Apra” per poi arrabbiarsi perché quella se ne andava, avendo ricevuto in risposta “Dopo”.
Non credo d’aver mai incontrato nessuno che confondesse “après” e “aprite”, ma a causa del suddetto ricordo traumatico, lo inserisco tra le assonanze ingannevoli.
Sicuramente, uno dei peggiori tra i faux-amis, in quanto verbo d’uso assai comune, è “fermer”: chiudere, così simile al “fermare” italiano, che in francese si traduce con “arrêter”, che corrisponde certamente ad arrestare ma ha significati e usi ben più ampi. Anche l’aggettivo “ferme” assomiglia tanto al caro vecchio “fermo” ma significa duro (sia nel senso di un materasso che del carattere di qualcuno).
Di seguito un elenco sommario di assonanze ingannevoli.
“Affoler”: spaventare, sconvolgere dal terrore, che assomiglia tanto ad “affollare” ma non ha nulla a che vedere. Affollare corrisponde per esempio al verbo “bonder” che però è usato più spesso al participio passato.
“Alcoolique” che significa alcolizzato e “alcoolisé” che significa alcolico.
In cucina, se nessuno confonde, se non per scherzo, il “gâteau” con il gatto, forse il “boudin” può dare qualche problema in più: non è il budino (flan, entremets, dessert à la cuillière), ma una salsiccia a base di sangue e/o interiora, di cui esistono diverse ricette regionali.
La “bougie” che è la candela e non la menzogna, e il “bougeoir” che è il portacandele e non il bugiardo (menteur).
La “camèra”, che la telecamera o videocamera, e non la stanza (chambre).
“Cantine”: indica la mensa, oppure il baule (per lo più metallico) in cui i militari trasportano i propri effetti. La cantina è la “cave”, che a sua volta è finto sinonimo di “cava”, che in francese si dice “carrière”, che però esiste anche nel senso di carriera. Un labirinto senza fine quello delle assonanze ingannevoli? Può essere.
I “confettis” che non sono i confetti (dragées), ma i coriandoli.
Il “costume” che diventa “maillot de bain” per il costume da bagno, et “déguisement” per il travestimento. In francese, “Costume” indica il completo elegante da uomo.
“Facteur”, che come termine matematico corrisponde perfettamente all’italiano, indica però anche il postino e non il fattore che lavora in campagna.
La “firme”, che non è la firma (“signature”), ma un’azienda, una ditta.
Un “forestier” che è l’aggettivo per forestale, e non il forestiero (étranger).
Uno che mi ha sempre fatto sorridere perché a volte ancora sbaglio: “lampadaire”, che non è il lampadario (lustre, suspension lumineuse) ma il lampione (in francese “lampion” indica la piccola lanterna di carta decorativa). Nella stessa famiglia: “lampe” è la lampada e non il lampo (“éclair”).
“Magasin”, che è il negozio e non il magazzino (depôt), da non confondere con “magazine”, rivista o giornale periodico.
“Manche”, che è la manica e non la mancia (pourboire).
“Moche” che significa brutto e non moscio (mou, flasque).
La “nonne” che è la suora, la religiosa, non la nonna (grand-mère, mamie).
“Régaler”, delizioso verbo che non significa regalare (offrir, donner) ma offrire un buon pranzo, trattare bene gli ospiti, far loro piacere. Nella forma riflessiva “se régaler” significa essere particolarmente soddisfatto, sentirsi davvero compiaciuti, in genere di un pranzo, ma anche più in generale di una situazione gradevole.
“Salir” che non significa salire (monter), ma sporcare. “Sale” è dunque sporco e non sale (sel).
Per chi come me vive immerso in un’altra lingua da tanti anni, tuttavia, l’inciampo più comune non sono i faux-amis, ormai ben assimilati, ma quelle parole d’uso corrente che dall’italiano al francese cambiano genere. Scrivendo si ha il tempo di riflettere ed è difficile incorrere nell’errore, tanto più che ci si rilegge sempre e più d’una volta, ma parlando al quotidiano, quelle differenze di genere mi traggono in inganno ancora oggi.
Piccola selezione:
Il fiore > la fleur
Un’unghia > un ongle
Un aiuto > une aide
Un allarme > une alarme
Un armadio > une armoire
Un aneddoto > une anecdote
Un annuncio > une annonce
Un attacco > une attaque
Il colore > la couleur
Il foglio > la feuille (che è sia quella dell’albero che il foglio di carta)
Un enigma > une énigme
Una scimmia > un singe
La tigre > le tigre
Un idolo > une idole
Il liquore > la liqueur
Un minuto > une minute
Un olio > une huile
Il pedale > la pédale
Il terrore > la terreur
Un sandalo > la sandale
La calma > le calme
La pipì > le pipi
Potrei continuare per pagine e pagine (le parole che hanno generi differenti nelle due lingue sono circa 7000), ma ciò che mi preme sottolineare e ribadire è come sia fondamentale riflettere sempre e stare attenti nell’utilizzo di un termine, anche se crediamo di conoscere la lingua a menadito. O di chiedere l’aiuto di un professionista.
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